(no spoiler)
Fermo restando che chiunque non abbia ancora visto Tenet meriterebbe di essere spoilerato senza pietà (ormai sono passati 4 giorni, un’era geologica).
E sì, ci va il punto, anche se contrasta con le regole insegnatemi dalla maestra Anna alle elementari.
Tenet è l’undicesimo film di uno dei più grandi registi contemporanei, Cristopher Nolan. E i film dei grandi talenti si vanno a vedere subito: Tarantino, Coppola, Scorsese, Sorrentino, Boyle, Nolan appunto. Non è che puoi stare alla ricasca dei commenti (il più delle volte parziali, quand’anche non preconfezionati, nel bene o nel male) resi da spettatori avventizi, o peggio da miocuggino.
E’ una storia che gira attorno al paradosso concettuale di una dimensione spazio/temporale palindromica, a cui va riconosciuto un imponente fascino immaginifico che comunque è il minimo che ci si aspetta da un regista così titolato.
Va detto che la grande accusa che fanno al Nolan regista è quella di collezionare opere dallo spento fermento emotivo, un po’ come dire: “Cazzarola che film! Ben pensato, ben realizzato!” ma poi non riesci a ricordare un momento in cui sei stato realmente scosso, emozionato, in tutta la pellicola.
Non sono d’accordissimo con questo assunto: a me il suo capolavoro assoluto Interstellar è piaciuto proprio per quelle tre o quattro emozioni fortissime che mi ha lasciato (a braccio: il muro d’acqua, lo scavalco della barriera spazio/temporale e il reticolato delle occasioni alternative, il contatto tra padre e figlia a cavallo del tempo e dello spazio).
Qui no: non un momento di vero pathos, di cuore. Un po’ come in Inception, film perfetto ma freddo, ma che vanta a suo favore una trama e un argomento non impossibili seppur non immediati. In Tenet l’obiettiva difficoltà della materia del trattare inficia una visione serena, come dovrebbe essere a mio avviso per ogni film (ok pensare, ma starsi a scervellare auffa non è il mio sport preferito).
Poi è chiaro che da amante del cinema non posso non apprezzare la perfezione della girata e dell’editing successivo, che tra l’altro ha richiesto anni di elaborazione (un po’ come successo all’Irish Man di Scorsese, con analoghi risultati: meraviglioso filmicamente, ma fiacco emotivamente).
Sono film che non rimangono nella coscienza, anche se forse rimarranno comunque nella storia del cinema come prodotti di registi di assoluto valore.
Potrei sbilanciarmi nel vaticinare per il prossimo oscar statuette minori per questo film, ma non lo farò: a volte in America esistono dinamiche strane (l’oscar a Brad Pitt per C’era una volta a Hollywood grida ancora vendetta, e il mancato oscar a Morricone per La leggenda del pianista sull’oceano ancor di più).
E comunque, anche a voler spoilerare di Tenet non avrei saputo che dire. Che ne so, m’è sembrato una sorta di James Bond ancora più spinto, e se dico che non ho visto manco un James Bond si capisce quanto questo film stia sull’archetipo.
Attori bravissimi (Branagh su tutti direi, ma è una mia debolezza), con una citazione particolare per il tonicissimo Robert Pattinson che in questo momento ci va tanto di moda. Il protagonista, pur azzeccatissimo, ha due espressioni: quella con gli occhiali da sole e quella senza. Come Clint Eastwood – con cappello o senza – e vista la sfavillante carriera di quest’ultimo non posso che tacere i miei istintivi vaticini nei confronti del nero di Tenet.
Non è un film inutile – e come potrebbe? – anzi alla fine dei conti è un bel film. Ma io da Nolan, come da Tarantino, voglio solo capolavori, altro che la storia di James Manson col lanciafiammino o l’intrigo autocompiacente del palindromo spazio/temporale.
Che se puo’ une ghie lu va a chiede, il sospetto è che nen sa manche isse che velié dì.
Voto 7,5, e t’aggio trattato caro Nolan. Ma, come mi disse la prof di biologia in quinto, avrei voluto metterti nove.