Chi volete libero

UN VENEDI’ SANTO ATIPICO

La lettura, effettuata in bagno come sempre, dello splendido “Vangelo secondo Gesù Cristo” di José Saramago mi ha indotto più volte a pensieri ieratici, e questo venerdì santo non ha fatto eccezione.

Si sa che Gesù di Nazareth non fu giustiziato per delitti contro la persona o il patrimonio ma per un gravissimo delitto politico: all’epoca quello di autoproclamarsi re in presenza di un altro re. E un re pericoloso per giunta, primo perché poteva promettere la beatitudine eterna, secondo perché aveva migliaia di persone che lo seguivano.

Un influencer d’antan, una specie di Chiara Ferragni di Galilea.

Oggi proclamarsi re, tipo, in Italia porterebbe la gente a non darti il minimo credito e i media a non cagarti di pezza. In un eventuale processo – sempreché si riuscisse a mandare a giudizio uno spostato che si dichiara re di tutti gli uomini –  l’avvocato invocherebbe l’infermità mentale e il Nazareno il giorno dopo girerebbe di nuovo tranquillo per le strade.

Quindi il reato politico odierno dev’essere ben più grave.

E per essere grave abbastanza deve toccare l’intoccabile: ad esempio la polvere sotto i tappeti dei potenti.

Che è quello che ha fatto Julian Assange, che per aver reso pubblici con WikiLeaks interi archivi secretati di crimini di guerra statunitensi in Afghanistan e Iraq ha subito una caccia all’uomo che non si vedeva dai tempi del mostro di Milwaukee e che al momento sta scontando una pena fondamentalmente inventata in un luogo molto meno che ameno in Inghilterra, tra tendenze suicide (vorrei vedere voi) e attesa di estradizione verso il paradiso d’oltreoceano, non dico tra l’indifferenza generale perché gli permangono dei fans che hanno capito la portata di quello che ha fatto (tentato di fare) per il mondo, ma con un disinteresse fattivo di rara portata.

A Gesù, per assurdo, è andata meglio: almeno non è stato sottratto dai riflettori, stava pure al centro tra i due ladroni e ben in vista in alto, s’è guadagnato la gloria imperitura inchiodato per i polsi a una trave. Cioè capito: soffro come un cane ma almeno assolvo a un compito alto, e nel farlo compiaccio pure mio padre. Ad Assange nemmeno quello: è l’oblìo la vera condanna odierna. Come in “1984” di Orwell, per non andare troppo in là.

Chi volete libero, Assange o Barabba?

Pensateci, quando vi passa sul telefonino l’ennesima richiesta di supporto di Free Assange, tra una litigata della Ferragni e l’ennesima gaffe di Elettra Lamborghini.