La damiciana spagghiata

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Mai tornare sul luogo ove si è stati felici. Quindi, per quanto mi riguarda, mai tornare al liceo, palestra di vita e serraglio di varia umanità da cui sono partito anni fa.

Con una distinzione: se in una vacanza, in un accadimento puntuale, oppure in un amore di tanto tempo fa era già evidente fin da allora che si trattasse di un bel momento, quando eravamo al liceo eravamo felici e non lo sapevamo. Troppo compressi dalla situazione, da qualche professore bestia e da tutti gli altri che – aveva detto bene Luca Carboni in Silvia lo sai – non ci chiedevano mai se eravamo felici.

Ieri quindi, quando mi apprestavo con qualcuno della mia band nata al liceo a varcare la soglia dell’Antonio Orsini per una piccola esibizione in aula magna, ero piuttosto titubante anche se cercavo di dissimulare le mie cogitazioni con un’espressione ilare. Semplicemente, ero emozionato. Non è che mi capiti più tanto, in generale.

Poi sono arrivati gli altri del gruppo, abbiamo riso come raramente ci accade e ci siamo fatti le foto da bimbiminkia nella nostra vecchia aula nella cui lavagna – come ai tempi d’oro – erano riportate frasi a sfondo pecoreccio.

Il concerto – o meglio il recital – non lo so com’è andato, bisognerebbe chiederlo ai ragazzi che dapprima sono sembrati piuttosto spaesati ma poi si sono riscaldati subito, ma non è che alla fine interessi più di tanto.

E’ che queste sono occasioni del cuore (come chiamarle diversamente?) valide per visitare da turisti il paese da cui sei partito anni fa e nel quale sai che non tornerai più ad abitare. Le lotte ideologiche della mia generazione, sconfitta dal conformismo generale e dalla televisione, sembrano lontane anni luce.

E voi ragazzi, che spettacolo che siete! Come sempre, come in tutte le epoche,  belli e immacolati, inadeguati con il vostro cellulare connaturato e il non sapere che significa damiciana spagghiata o lu totera. Qualcuno pieno di brufolazzi, altre che girano tenendosi per mano, altri che rimangono alla fine ad aiutare Teresa a rimettere a posto l’aula magna. Tutti, indistintamente, col viso inondato dal sole dell’autogestione.

Sembravamo destinati con i Nerkias a passare una giornata sopra a una damiciana spagghiata, e invece è stato veramente un piacere.

ragazzi

 

 

La trombetta dei Giaquinto


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Una foto recentemente pubblicata su Facebook mi ha richiamato, prepotente, un ricordo piacevole. Si tratta del signore nella foto, immancabile per anni a Piazza Arringo nella mattinata della festa di Sant’Emidio con la sua trombetta “Peppe pee… peppe pe…”, chi non la ricorda?

Dovendo, nel 1998, fare con i Nerkias un pezzo sull’ascolanità (pezzo che poi sarebbe diventato “Ascoli regina”), andai con la mia fidanzata di allora (divenuta moglie di adesso) in piazza Arringo il giorno del Patrono per trovare il trombettaio. Ed effettivamente lo trovammo (una delle ultime volte che veniva, ora non viene più), ma era il figlio di quello che avevo conosciuto da bambino, tale Antonio Giaquinto. Non sono sicuro che il personaggio corrispondesse a quello della foto, ad Ascoli ne venivano un paio e potrebbe essere l’altro.

Questo signor Antonio ci disse che il padre era deceduto e che lui continuava la tradizione di famiglia girando feste su feste per mezza Italia meridionale, ma che purtroppo l’attività non rendeva più come una volta anche a causa dell’ingresso dei cinesi (sic!) che avevano cominciato a produrre i fischietti col pulcinella.

Quando, dopo una chiacchierata di almeno 10 minuti, tirai fuori il DAT portatile e gli chiesi se gentilmente potevo registrarlo mentre suonava la trombetta, lui dapprima mi guardò con leggero sospetto, poi disse tomo tomo: “Sì, se mi dite a cosa vi serve”. Mi dette del voi, come tutti i napoletani.

Gli racconto tutto, che eravamo un gruppo dialettale satirico che stava realizzando una ironica canzone d’amore per la nostra città, che ci serviva la sua trombetta da mettere sul sottofondo del campanone che suonava e del vociare delle persone del giorno della festa, insomma gliela condisco in maniera da invogliarlo a dire di sì.

E infatti lui disse: “Sarei onorato di far parte del vostro disco” e accettò. Direte: ma tanto l’avresti potuto registrare anche se lui non avesse voluto, era sul suolo pubblico e sicuramente avrebbe dovuto suonare la sua trombetta per venderne qualcuna. Ma volete mettere? Mi fece un’esecuzione, poi un’altra, poi una terza più forte, e dimostrò pure un minimo di competenza di fonìa perché alla fine disse: “Scegliete voi la versione che meglio si adatta al vostro sottofondo”.

Prima che io me ne andassi – assolutamente soddisfatto – dalla piazza, a distanza mi richiamò e mi disse: “Ma non è che per caso uno di questi CD si può avere?”. Promisi, mi segnai l’indirizzo di Napoli e lo salutai calorosamente dandogli la mano. Ebbi l’impressione che fosse felice, ma forse un po’ scettico circa la mia promessa.

Quando, nel dicembre 1999, uscì il nostro secondo CD “Celo grande”, una delle pochissime copie date in omaggio (ai musicisti, al produttore e a noi Nerkias) fu proprio quella che spedimmo al signor Antonio Giaquinto a Napoli, che peraltro è espressamente citato sulla copertina del CD.

La sua trombetta campeggia nell’intro di “Ascoli regina”, tra le campane e il vocìo degli ascolani del giorno della festa, e più d’una persona mi ha detto che quell’intro, ascoltata fuori da Ascoli (ad esempio in un paese straniero) inorgoglisce, strugge e mette allegria nello stesso momento. Esattamente l’impressione che fa a me, anche a distanza di anni.

La canzone sta qui:   ASCOLI REGINA 

Di Antonio da quel giorno della registrazione non ho avuto più notizia. Mi piace immaginarlo in giro per feste, nei paesini di pietra e mattoni dell’Italia meridionale con il suo carico di 200 pulcinella, a tirare fuori  da par suo una melodia che nessuno, a parte quelli della famiglia napoletana che li vendeva, è mai riuscito a replicare decentemente.