
Amo il calcio, l’ho sempre amato fin dai tempi della fanciullezza quando papà mi accompagnava tenendomi per mano al Del Duca a vedere l’Ascoli. Erano i tempi eroici della serie C, divenuta poi B e poi ancora, trionfalmente, A.
Ho visto dal vivo, a 30 metri da me intendo, Gullit Van Basten Maradona Zico Paolino Rossi Bruno Conti e il grande Zoff.
Il momento che mi è rimasto calcisticamente più impresso, a parte le due vittorie mondiali che ricordo e il gol di Giorgi all’Ancona, il 2-0 dell’Ascoli alla Juve campione del mondo, nel 1982, con due gol di Novellino.
Amo il calcio per quello che si fa in campo e non per ciò che si vede in TV, perché a quelli che hanno la fortuna di vedere la serie A dal vivo non la si può andare a raccontare. Vado allo stadio perché non mi piace rivedere la stessa immagine 20 volte per sapere se la gamba del difensore ha toccato il piede dell’attaccante o se quest’ultimo ha bluffato. Mi piace invece incazzarmi in diretta perché la mia squadra ha subito un’ingiustizia, al prezzo magari di dovermi ricredere di fronte alle immagini televisive.
Del calcio odio i maneggioni come Moggi, Preziosi, Galliani, Lotito, odio gli arbitri supini che con metodo scientifico fanno andare una partita a senso unico a favore della grande squadra.
Amo il fatto che ancora ci sono squadre Davide e squadre Golia, che talvolta Davide atterra Golia. Amo la storia del Chievo e del Castel di Sangro, come sono riuscite due squadrette a farsi largo tra i blasonati club della B e della A. Amo gli exploit come quello del Camerun e della Nigeria ai mondiali, quello del Frosinone che fino a ieri giocava in seconda categoria.
Amo le partite giocate nella melma, col campo al limite dell’impraticabilità. Ricordo un vecchio Ascoli-Milan, in mezzo a una bomba di pioggia: partita da sciabola e non per fiorettisti che infatti – regolarmente – alla fine della partita dissero che quelle non erano condizioni “accettabili”. Se sei bravo, mandò a dire il nostro allenatore, sai giocare anche sulla luna. E poi le molecole d’acqua non è che si scansassero per la nostra squadra.
Amo questo del calcio, amo anche commentare all’infinito il tacco dell’attaccante, il gol di Meco Agostini al Pisa in rovesciata, la mano di Dio che aiutò Maradona contro l’Inghilterra prima che egli, per sovrammercato, segnasse la doppietta con il più bel gol della storia del mondo.
Amo l’esultanza di Tardelli dell’82 e quella di Grosso nel 2006. Anzi, amo osservare e studiare l’esultanza di ogni giocatore: Toni con la sua mossa da tecnico audio, del Piero con la linguetta fuori a braccia larghe, Pruzzo che partiva come un siluro verso l’irrinunciabile abbraccio della Curva Sud dell’Olimpico, Falcao con il suo saltello a un metro da terra sul posto.
Amo le immagini eroiche del Grande Torino perito a Superga, una storia che se fosse stata scritta da Omero 3.000 anni fa non avrebbe sfigurato a fianco dell’Iliade.
Amo tremendamente il fatto che leggendo questo mio intervento qualcuno abbia una voglia insopprimibile di dirmi che non ho ragione su questo o su quello. I milanisti ancora incavolati per la partita del 2006, i laziali per i quali Lotito è un uomo corretto, eccetera. Amo il fatto che il calcio faccia parlare nei bar, non mi piace più di tanto parlarne in prima persona, ma mi divertono i commenti che fanno i miei concittadini in dialetto, le definizioni che danno di questo o quel calciatore, le offese che riservano agli arbitri. Semplicemente un pezzo di cultura della mia città.
Amo – nel contempo ridendone – le critiche che al calcio fanno le donne, così facilmente smontabili. I 22 cretini in mutande, un classico. Ma tanto io un giorno di questi quando stai attaccato alla televisione me ne esco e ti vado a confezionare un ottimo paio di corna, e altre amenità simili. Bellissima la frase detta da una mia ex a suo tempo: tu odoreresti pure una scoreggia di Baggio.
Beh, di Dino Baggio magari no. Ma di Roberto…